Sanità pubblica, un sistema che ha bisogno di cure e di nuova occupazione

Sanità pubblica, un sistema che ha bisogno di cure e di nuova occupazione

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Le persone hanno il diritto costituzionale a essere curate, peccato che il primo ad essere malato è proprio quel Servizio sanitario nazionale che, da straordinaria conquista di civiltà, “oramai è veramente allo sbando”.

La denuncia sulla situazione critica in cui versa la nostra sanità pubblica arriva dall’attivo delle delegate, delegati, pensionate e pensionati della Cgil Lombardia a Rogno, dove Susanna Cellari, infermiera e sindacalista della Fp Cgil Monza e Brianza, presente il segretario generale nazionale Cgil Maurizio Landini, cita dei numeri. “Se prima del periodo pandemico avevamo 25mila infermieri disoccupati in Italia, adesso ci ritroviamo con una carenza di circa 70mila infermieri. Se poi dovessimo raggiungere il livello europeo di assistenza, questo numero dovrebbe essere quantomeno triplicato – sostiene -. Mancano 30mila medici, mancano 30mila operatori sociosanitari!”.

Queste carenze di personale impattano pesantemente non solo sull’erogazione dei servizi ma anche sull’organizzazione del lavoro e le lavoratrici e i lavoratori che, già provati per il periodo emergenziale passato con l’arrivo del Covid, lavorando, nel 2020 e nel 2021 senza sosta né ferie, non reggono più ritmi e fatiche sempre all’ordine del giorno. Da qui l’emorragia di personale dalle strutture pubbliche, come riportano anche i telegiornali. “Dagli ultimi dati Ansa, pare che nell’ultimo biennio ci sia stata una fuga di 40mila infermieri dall’Italia e 130mila medici. Sono numeri davvero preoccupanti – evidenzia Cellari -. Dobbiamo porci veramente una domanda: ma dove vogliamo arrivare?”.

Di certo, a depauperare il Servizio sanitario nazionale e regionale si è partiti da ben prima del Covid. Da “vent’anni”, almeno, vanno avanti “continui tagli: alle prestazioni, ai posti letto degli ospedali, al personale. La pandemia non ha fatto altro che evidenziare i nervi scoperto della nostra sanità pubblica, tutte le carenze organiche”.

Da infermiera, Cellari ricorda le condizioni di lavoro nell’ultima inedita emergenza, nel primo mese anche senza dispositivi di protezione individuale. “Siamo riusciti sul campo a garantire quello che potevamo fare, il meglio, in una situazione in cui nessuno era preparato, grazie al senso di responsabilità e di abnegazione del personale. In Regione Lombardia, – prosegue – si è cercato di tamponare tutte le carenze di personale esistenti con i più disparati contratti, tutti a termine: co.co.co, liberi professionisti, a tempo determinato. Però tutto questo è stato un’illusione. Perché questi contratti sono durati un anno e mezzo/due anni”. E ancora, con il personale “stremato”, nel 2022 Regione si è concentrata sulle liste d’attesa (anche “centuplicate” dopo il blocco per il Covid) chiedendo “a tutte le aziende di recuperare il 110% delle prestazioni rispetto agli anni precedenti”.

Cosa significa per le lavoratrici e i lavoratori? “Si continua a saltare le ferie, i riposi, il personale è sempre più carente. Praticamente, nessuno può fare sciopero, perché tutti i reparti sono al contingente minimo assistenziale”, considera la sindacalista.

In Lombardia le varie riforme che hanno via via svuotato il welfare sono partire con l’ex Presidente Roberto Formigoni, nel 1997, e arrivano ai giorni nostri (legge regionale 22/2021) con l’equiparazione della sanità pubblica a quella privata.

Nel frattempo, mentre la proposta popolare referendaria per abrogare parti dell’ultimo riassetto sociosanitario lombardo, è stata rimessa al vaglio del Consiglio Regionale dall’Ufficio di Presidenza della Lombardia, senza nemmeno ascoltare le ragioni dei promotori (tra cui Cgil, Funzione Pubblica e Spi regionali), sul territorio sta prendendo piede anche il fenomeno dei cosiddetti “ambulatori ad accesso diretto, a pagamento. Tutte queste prestazioni non fanno altro che portare a un processo di privatizzazione, già delineato nella nostra regione e penso anche in tutta Italia. Ma soprattutto, tutte queste prestazioni aggiuntive che vengono garantite ai cittadini per saltare le liste d’attesa, per recuperare le liste d’attesa, per evitare di aspettare in pronto soccorso, vengono erogate con ore in più che il personale è costretto a fare, seppur pagato”, afferma Cellari, rilevando i rischi di errore e per la tenuta psicofisica.

Che fare? “Dobbiamo interrompere un circolo vizioso, rilanciando il servizio sanitario pubblico e un piano straordinario per l’occupazione da calare in tutti i settori pubblici e fondamentale per la sanità”.

Un tema, che dopo la manifestazione nazionale del 24 giugno scorso, viene discusso con la Cgil nelle assemblee in corso sui posti di lavoro e sarà riportato a Roma il 7 ottobre, con la manifestazione “La Via Maestra. Insieme per la Costituzione”.

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